Luigi Calabresi

Luigi Calabresi
Luigi Calabresi
NascitaRoma, 14 novembre 1937
MorteMilano, 17 maggio 1972
Cause della morteAttentato terroristico
Dati militari
Paese servitoItalia (bandiera) Italia
Forza armata Polizia di Stato
UnitàUfficio politico della Questura di Milano
Anni di servizio1965-1972
GradoCommissario capo
GuerreAnni di Piombo
DecorazioniMedaglia d'Oro al Merito Civile alla Memoria come vittima del terrorismo, 14 maggio 2004
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Luigi Calabresi (Roma, 14 novembre 1937Milano, 17 maggio 1972) è stato un poliziotto commissario capo italiano che ha lavorato nell'Ufficio politico della Questura di Milano. È stato ucciso in un attentato terroristico di estrema sinistra nel 1972. Il 14 maggio 2004 è stato premiato postumo con la Medaglia d'oro al Merito Civile alla Memoria come vittima del terrorismo, dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi: per aver "sacrificato la vita per garantire la tutela dell'ordine democratico".[1][2] Ha avuto tre figli, tra cui il giornalista Mario Calabresi.

Tra il 1969 e il 1972 fu accusato da una parte dell'opinione pubblica di aver assassinato l'anarchico Giuseppe Pinelli, morto in circostanze incerte dopo aver subito violenza e gettato da una finestra del quarto piano della Questura di Milano. Pinelli si trovava nell'ufficio di Calabresi in custodia per le indagini sulla Strage di piazza Fontana. Le accuse vennero sostenute da un'estesa campagna stampa di giornali della sinistra politica, in particolare da L'Espresso e dal giornale del movimento militante di estrema sinistra Lotta Continua. Le indagini determinarono che Calabresi non si trovava nella stanza da cui cadde Pinelli al momento dell'accaduto. Questo fu confermato da un'estesa indagine giudiziaria archiviata nel 1975.

Nel 1972 Luigi Calabresi fu assassinato a colpi di pistola mentre andava al lavoro. I colpevoli dell'assassinio Calabresi furono individuati solo nel 1988: Ovidio Bompressi e Leonardo Marino come esecutori materiali, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri come mandanti. Tutti erano leader o esponenti passati di Lotta Continua. Gli imputati furono condannati in via definitiva nel 1997. Successivamente i condannati ottennero una revisione del processo, ma nel 2000 la Corte d'Appello di Venezia e poi la Corte Suprema di Cassazione confermarono le condanne. Nel 2003 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sentenziò che avevano ricevuto un processo equo e rifiutò un'ulteriore revisione.[1][3][4][5]

L'assassinio di Calabresi è considerato il primo e uno dei più importanti omicidi degli Anni di piombo. Per questo motivo e per il processo articolato che ne è seguito, ha influenzato il dibattito pubblico per molti anni. Nel 2019 l'Enciclopedia Treccani ha dedicato a Calabresi una biografia nella propria raccolta Dizionario Biografico degli italiani. Viene raccontato in modo approfondito il clima culturale che portò alla sua emarginazione a Milano prima dell'assassinio: le indagini sulla "Strage di piazza Fontana" e poi sulla morte di Giuseppe Pinelli, le ambiguità della Questura e del ministero dell'Interno e le campagne degli intellettuali di sinistra del tempo.[6]

La moglie Gemma Capra si risposò dopo alcuni anni dal decesso del primo marito con un artista chiamato Tonino Milite. In ricordo del primo marito mantenne il suo cognome, firmandosi sempre "Maria Calabresi Milite". Ha rilasciato varie interviste e scritto libri sulla propria fede cattolica e sul percorso di perdono degli assassini del marito.

  1. ^ a b Emmanuel Betta, Biografia di Luigi Calabresi, in Dizionario Biografico degli italiani, Istituto Enciclopedia Treccani, 2019, ISBN 978-88-12-00032-6, SBN IT\ICCU\CFI\0012931. URL consultato il 15 gennaio 2023 (archiviato dall'url originale il 16 novembre 2022).
  2. ^ Claudia Fusani, Onore alle vittime del terrorismo. Medaglie per Calabresi e altri 9. Vedove e figli ricevuti al Quirinale, poi alla Festa della Polizia in piazza del Popolo il lungo applauso ai caduti., in La Repubblica, 15 maggio 2004 (archiviato dall'url originale il 24 febbraio 2007).
  3. ^ Né omicidio né suicidio: Pinelli cadde perché colto da malore, in La Stampa, 29 ottobre 1975 (archiviato dall'url originale il 24 aprile 2022).
    «Secondo la sentenza istruttoria, l'anarchico ebbe il fatale capogiro mentre era appoggiato al bassissimo davanzale della finestra della Questura perché "in stato ansioso e stressante" dopo tre giorni di interrogatori - Nessuna responsabilità tra i funzionari e i sottufficiali presenti (Nostro servizio particolare) Milano, 28 ottobre. (m.f. ) L'anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra del quarto piano della Questura milanese, dov'era interrogato sulla strage di piazza Fontana, il 15 dicembre 1969, non si è ucciso, ma nessuno dei funzionari e dei sottufficiali dell'ufficio politico della Questura è responsabile della sua caduta. Questa la conclusione cui è giunta, dopo quasi sei anni d'inchiesta, la magistratura. Il giudice istruttore, dottor Gerardo D'Ambrosio, lo stesso che ha condotto l'inchiesta sulle «piste nere», ha depositato oggi in cancelleria la sua sentenza, che assolve con formula piena tutti gli indiziati. Secondo la ricostruzione che al magistrato pare la più attendibile, Giuseppe Pinelli, stremato dai pressanti interrogatori cui era sottoposto, si avvicinò alla finestra per prendere una boccata d'aria, ebbe un capogiro e cadde nel vuoto (anche perché il davanzale era bassissimo), senza che nessuno dei presenti riuscisse a salvarlo. Il procedimento concluso oggi era stato aperto dalla vedova del ferroviere, Licia Rognini, con una denuncia per omicidio volontario contro il commissario capo dott. Luigi Calabresi (successivamente assassinato il 17 maggio 1972), il capitano dei carabinieri Savino Lo Grano e i sottufficiali di p.s. Pietro Mucilli, Carlo Mainardi, Vito Panessa e Giuseppe Caracuta; (settimo implicato, il dottor Antonino Allegra, allora dirigente della squadra politica: assente dall'ufficio quando il Pinelli precipitò, doveva rispondere di abuso di potere per avere trattenuto l'anarchico nei locali della Questura, senza l'autorizzazione del magistrato, dal 12 al 15 dicembre; il suo reato è estinto dall'amnistia). Nei confronti degli altri sei indiziati, il dottor D'Ambrosio ha dichiarato di non doversi procedere perché il fatto non sussiste. La sentenza assolve anche l'avvocato Carlo Smuraglia, già legale della famiglia Pinelli, che era stato indiziato di calunnia nei confronti dei rappresentanti della forza pubblica per averli accusati di omicidio volontario, violenza privata, sequestro dì persona, abuso d'ufficio e di autorità. A sostegno della tesi del malore che avrebbe causato la caduta di Pinelli dalla finestra, il dottor D'Ambrosio ricorda che il ferroviere «dalle 18,30 del 12 dicembre fino a pochi minuti prima delle 24 del 15 dicembre, fu sottoposto a una serie di stress, non consumò pasti regolari e dormì solo poche ore, una sola volta steso su una branda. Il fatto che venissero man mano rilasciati tutti i compagni anarchici fermati dopo di lui, non dovette poi certo tranquillizzarlo». La sera del 15, quando fu chiamato per un altro interrogatorio, Pinelli si sentì dire che Valpreda aveva confessato di aver messo la bomba della strage di piazza Fontana: certo una manovra ad effetto della polizia per indurlo a parlare. Un dubbio sfiorò comunque Pinelli che, rivolto a un amico, disse: «Se è stato un compagno lo uccido con le mie stesse mani». «Ogni tanto palesava momenti di assenza», scrive ancora il magistrato, aggiungendo che sovente «lamentava amnesie». Nella sentenza si esclude come «assolutamente inconsistente» l'ipotesi del lancio dalla finestra del corpo inanimato, sia per la mancanza di qualsiasi movente, sia perché essa è stata smentita dagli accertamenti tecnici svolti. Da escludere, per il giudice, anche la possibilità che il corpo inanimato sia stato appoggiato alla ringhiera e fatto ruotare intorno ad essa. «In tal caso — dice la sentenza — l'apice del corpo avrebbe urtato con estrema violenza il cornicione quattro metri più sotto, sporgente di ben 5O centimetri dal filo della ringhiera stessa. Avrebbero dovuto ri-scontrarsi, di conseguenza, da una parte una notevole deformazione del rivestimento in lamiera del cornicione (simile se non pari a quella lasciata dal manichino durante gli esperimenti), e dall'altra notevoli lesioni al capo del Pinelli: deformazione e lesioni che invece non sussistevano dopo i fatti». Il dottor D'Ambrosio assolve il dottor Calabresi anche dall'accusa di «omicidio colposo» nell'eventualità che non avesse impedito il suicidio del fermato. In primo luogo perché le contestazioni ad effetto della polizia non potevano creare in Pinelli la convinzione che nei suoi confronti ci fossero elementi di accusa; in secondo luogo non è verosimile che Pinelli si sia ucciso. Comunque, se anche fosse, la caduta dalla finestra «non fu preceduta da alcun segno che potesse lasciare prevedere ciò che stava per accadere, e il passaggio del corpo oltre la ringhiera si esaurì nel volgere di frazioni di secondo». Alcuni giorni or sono un gruppo di tredici docenti di alcune università italiane aveva presentato al magistrato una documentazione di 33 cartelle in cui si confutava la tesi del suicidio e si affermava che una serie di esperimenti "svolti portava a non escludere responsabilità dirette o indirette delle persone che si trovavano nella stanza al momento della caduta di Pinelli dalla finestra. Giuseppe Pinelli»
  4. ^ Mario Calabresi, Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo, 2007, ISBN 9788804568421. URL consultato il 15 gennaio 2023 (archiviato dall'url originale il 15 gennaio 2023).
  5. ^ Leonardo Marino, Così uccidemmo il commissario Calabresi., Seconda edizione con post-fazione di Gemma Capra Calabresi, 2018, ISBN 9788881558025. URL consultato il 25 aprile 2023 (archiviato dall'url originale il 15 gennaio 2023).
    «L'autore ricostruisce gli avvenimenti giudiziari fino all'ottavo e definitivo processo, rispondendo alla formidabile campagna di aggressione a mezzo stampa di cui era stato oggetto. Il lettore scoprirà la grazia di un pentimento anche religioso, il ruolo determinante dei cosiddetti «grandi intellettuali» nello spingere alla rovina tanti ingenui giovani rivoluzionari, la figura di un martire, Luigi Calabresi, e le parole di perdono di Gemma, la moglie del commissario, che ha scritto la postfazione di questo fondamentale libro di storia.»
  6. ^ CALABRESI, Luigi in "Dizionario Biografico", su Treccani, 2019. URL consultato il 27 aprile 2024.

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